Lo scorso ottobre a Como, presso la Pinacoteca, sono state inaugurate due nuove sale dedicate all’asilo Sant’Elia, ideato da Giuseppe Terragni. La sezione Novecento di Palazzo Volpi da qualche anno ha subito dei rifacimenti per dedicare ancora più spazio agli artisti nostrani come Antonio Sant’Elia, Carla Badiali, Manlio Rho, Mario Radice e Giuseppe Terragni.

La mostra permanente “Giuseppe Terragni per i bambini: l’asilo Sant’Elia” vuole porre l’attenzione sulla funzione sociale di un luogo dedicato all’infanzia, ideato da un architetto lungimirante e molto attento ai bisogni dei più piccoli.

Il progetto dell’asilo Sant’Elia

L’area prescelta per la sua ubicazione fu il rione Sant’Elia; il nome, come si potrebbe erroneamente pensare, non deriva dall’architetto futurista, ma dal luogo. Durante il ventennio fascista, infatti Como venne divisa in “rioni” e proprio questo fu intitolato ad Antonio Sant’Elia, soldato volontario caduto durante la prima guerra mondiale e architetto futurista molto dotato per la sua giovane età.

Il luogo (oggi tra via Alciato e via dei Mille) risolveva oltretutto le necessità dell’epoca: essere vicino ai quartieri residenziali medi e popolari ed essere sufficientemente lontano dalle arterie di grande traffico automobilistico.

L’asilo come opera pia di assistenza infantile

La funzione di un asilo, oggi molto scontata, non lo era così tanto all’epoca: negli anni Trenta molte famiglie si trasferivano in città per poter iniziare a lavorare, lasciandosi però indietro nonni e parenti. Nella zona un tempo c’erano molte fabbriche tessili e opifici grazie alla presenza di alcuni corsi d’acqua che affluiscono nel Cosia (torrente Fiume Aperto e Roggia Molinara) e molte donne iniziarono a lavorare nelle seterie non avendo però nessuno a cui affidare i bambini.

All’epoca, inoltre, non era così scontato avere un bagno in casa o poter usufruire dell’acqua quotidianamente per lavarsi: così, all’interno dei bagni dell’asilo, era sempre disponibile una vasca per quei bambini che arrivavano bisognosi di sapone e acqua calda.

Oggettistica nelle sale della Pinacoteca

All’interno delle due sale della Pinacoteca dedicate all’Asilo Sant’Elia, si possono ammirare solo alcune delle idee di Terragni, che tuttavia ci permettono di capire il genio di quest’uomo nell’essersi immedesimato bambino e aver permesso a più generazioni di godere di uno spazio mai occlusivo, senza distinzioni tra l’esterno e l’interno.

Durante la prima metà del Novecento, la scuola stava subendo dei cambiamenti che Terragni riuscì ad anticipare, anche di alcuni decenni; ne è un esempio l’utilizzo del linoleum sul pavimento.

In Pinacoteca possiamo vedere dei banchetti originali con relative sedie, tra le quali una “Lariana” a misura di bambino. Il banco monoposto oggi parrebbe un oggetto come tutti gli altri per un’aula, ma fino ad allora non era così: i banchi, più lunghi, erano occupati da due o più bambini, che erano seduti su panche senza schienale. Pochi movimenti erano concessi e nessuno spazio era veramente personale. Nella stessa saletta, è possibile vedere i portagiacche ad altezza di bimbo e ascoltare delle filastrocche cantate dagli ultimi bambini che frequentarono l’asilo.

Nella sala adiacente si può osservare una credenza per riporre i piatti, ideata alla corretta altezza per permettere ai bimbi di aiutare. Inoltre, possiamo notare come una semplice infermeria sia stata reinventata per mettere a proprio agio i bambini: il lettino lì presente fu infatti ridotto della metà e modificato da Terragni stesso.

Le condizioni dell’asilo oggi

Sul progetto dell’asilo stesso ci sarebbe da dire ancora molto altro, vista la sua natura di vera opera d’arte utilizzata, fino all’anno scorso, per la funzione per la quale era stata ideata.

A partire dal novembre 2018 sono tuttavia sorti problemi strutturali, che hanno portato infine alla chiusura dell’asilo: infiltrazioni dal tetto, tende da sole rotte e conseguente aumento della temperatura nelle aule, controsoffiti cedevoli. I lavori sono ad oggi fermi e sul tavolo del Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini c’è una petizione firmata (anche da Vittorio Sgarbi e Stefano Boeri) per chiedere che il progetto di recupero venga affidato a professionisti ed esecutori con qualifiche adeguate.

Sarebbe un grosso peccato per la città di Como perdere un asilo in quanto tale, ma sarebbe altresì vergognoso lasciar marcire un edificio che architetti da tutto il mondo vorrebbero vedere e che ora giace tra erba alta e un progetto inesistente.