Nel comune di Galbiate (LC), a 627 metri d’altitudine e riparato in una vallata del monte Crocione, si trova il borgo di Figina. Per essere raggiunto si percorre una strada che pare trasportarci in un’altra epoca; non a caso questo luogo fu scelto per la contemplazione monastica.

Un borgo millenario

Si sa con certezza che il borgo di Figina fosse già abitato ai tempi degli antichi Romani, in quanto il toponimo deriva dalla sua funzione principale nei tempi antichi, quella di fornace.

Si presuppone infatti che Figina derivi dal latino “figulare” (plasmare, dare forma a qualcosa) proprio perché in questo piccolo luogo v’era una fornace, ancora in funzione fino agli inizi del Novecento, nella quale si produceva cotto. Ai tempi dei romani la produzione era principalmente per laterizi e coppi.

L’edificio denominato “Fornace” esiste ancora, poco distante dalla frazione, ma oramai in completo disuso.

Nel primo periodo dell’anno Mille la grande Abbazia francese di Cluny ramificò la sua espansione anche verso la Lombardia, dove sorsero circa un’ottantina di centri religiosi tra il 1068 e il 1107. Proprio nel 1107 il sito cluniacense di Figina veniva fondato e, grazie alla donazione da parte di una Contessa (vedova di Azzone Crasso), entrò a far parte dei possedimenti dell’Abbazia di Cluny.

Preghiera, carità e ospitalità erano le missioni dei cluniacensi ma, pur essendo del ramo dei Benedettini la cui regola è ora et labora (prega e lavora), non si dedicavano ai lavori manuali, che venivano invece affidati ai laici. Ai monaci era riservata la salmodia, la meditazione, la lettura e lo studio.

Il piccolo monastero di Figina ebbe una vita lunga, ma mai con numeri altissimi di monaci residenti: nel 1277 se ne contavano 6, nel 1367 erano 3 e dieci anni dopo diventarono 7. La condotta di vita dei monaci non era tra le migliori, tanto che nel 1286 viene addirittura citata come “dissoluta”, poiché spesso non c’era costanza nell’ufficio divino e nelle altre pratiche monastiche. Ciò che invece veniva sempre praticato era la distribuzione di cibo ai poveri e ai pellegrini, uso tipico cluniacense divenuto solo successivamente parte integrante della Chiesa universale.

La decadenza del monastero

Nel 1491, alla morte dell’ultimo monaco cluniacense di Figina, il priorato venne conferito in commenda (ossia affidato a un laico per essere gestito) e sette anni dopo fu unito ed incorporato all’Abbazia milanese di San Dionigi. Nel 1532 il monastero fu ridotto a beneficio (conferito a cardinali e prelati che poterono usufruire della rendita monasteriale) e mantenne un cappellano fino al 1797 quando, con l’arrivo dei francesi e della Repubblica Cisalpina, il monastero di Figina fu soppresso, tutte le terre e i beni messi in vendita e acquistati dal negoziante milanese Giuseppe Prinetti.

Nel 1879 Fanny Prinetti si sposò con Edoardo Amman e così tutti i poteri e obblighi (spese di mantenimento del cappellano, acquisto tovaglie e ceri per la chiesa, etc.) riguardanti il borgo di Figina passarono alla famiglia Amman. Dopo la morte dell’ultimo cappellano residente, la Messa non fu più quotidiana, ma festiva.

Tutt’oggi le terre attorno a questo piccolo angolo di beatitudine, i fabbricati stessi e la chiesa sono di proprietà degli eredi della famiglia Amman. A Figina vivono ancora un paio di famiglie, una delle quali conduce un’azienda agricola dalla quale è possibile acquistare direttamente verdura di stagione.

La chiesa di San Nicola e San Sigismondo

borgo di Figina

La chiesa di Figina, realizzata subito dopo il 1107, era originariamente più grande rispetto alla costruzione attuale e presentava tre navate e tre absidi, mentre oggi è a navata unica e monoabsidata. La dedicazione popolare a San Sigismondo risale solo al Cinquecento, quando all’interno della chiesa fu costruito un altare dedicato al Santo, mentre nel 1615 fu aggiunta una pala d’altare con la Madonna e i due Santi; nel Settecento fu poi posto un paliotto coi due Santi, visibile ancora oggi. Nel 1751 fu riportata già la doppia intitolazione ufficiale, ancora oggi detenuta e ricordata anche dalla scritta in facciata. Pur essendo proprietà privata, la chiesa fa parte della Parrocchia di Villa Vergano; annualmente è qui celebrata la festa di San Sigismondo (1° maggio) e non quella di San Nicola (6 dicembre). Ciò pare strano visto che a una quindicina di chilometri di distanza, nella città di Lecco, il santo patrono Nicola è ben ricordato e festeggiato. Pare alquanto particolare come San Sigismondo sia ora il santo più ricordato nella chiesa di Figina, perché in fin dei conti il primissimo altare dedicato a lui fu costruito per non dimenticare la cappelletta in fondo al cimitero, antistante la chiesa, dedicata proprio a San Sigismondo e demolita ai tempi di San Carlo.

Ciò che la chiesa di San Nicola doveva essere originariamente può solo essere immaginato. Oggi, la costruzione si presenta con uno stile neoclassico per gli interni; le poche testimonianze originali sono la bifora sopra al portale maggiore e le lesene visibili all’esterno. Sul presbiterio si può notare una particolare “Madonna dell’Offerta”, chiamata anche popolarmente “Madonna della Finestra”, in marmo di Candoglia e realizzata negli anni Trenta dal Conte Mario Amman, nonostante il Cardinale Schuster durante la sua visita nel 1932 avesse sconsigliato l’introduzione di qualsiasi novità.

Realizzazioni in terracotta

borgo di Figina

Per non dimenticare il passato del borgo di Figina, alcune particolari note sono sparse sugli edifici: all’interno della chiesa si ammira una “Sacra Famiglia” realizzata in terracotta da autore ignoto, mentre sulla facciata di una delle case ancora oggi abitate si possono vedere decorazioni e bassorilievi in cotto rappresentanti alcuni personaggi risorgimentali: Vittorio Emanuele, Napoleone III, Conte Camillo Benso di Cavour e Giuseppe Garibaldi.

 

Grazie a Gabriele Bellinzona per alcune delucidazioni sul diritto ecclesiastico e grazie ad Arnaldo Pagani per la gentile concessione delle foto.