Lo scorso martedì 4 maggio, alle ore 20.45, si è tenuto in diretta Facebook e Zoom l’incontro “Zero plastica, zero rifiuti” con Rossano Ercolini, vincitore del Goldman Environmental Prize 2013 e Presidente dell’Associazione “Zero Waste Italy”. L’incontro è stato organizzato dagli amici del Circolo Ambiente Ilaria Alpi, con i quali abbiamo collaborato in numerose occasioni. Ripercorriamo insieme la chiacchierata tra Roberto Fumagalli, Presidente del Circolo, e Rossano Ercolini in queste righe. Per chi fosse interessato ad ascoltare l’incontro, il video è ancora disponibile sulla pagina Facebook di Ecoinformazioni.

Il Circolo Ambiente Ilaria Alpi è un’associazione attiva nelle province di Lecco e Como da 31 anni. Negli ultimi mesi, il Circolo sta portando avanti il Progetto “Brianza senza Plastica”, per ridurre e sensibilizzare sui rifiuti e in particolare sul tema della plastica monouso. Il progetto è patrocinato dal Comune di Inverigo e Lurago d’Erba e cofinanziato dalla Fondazione Cariplo; inoltre, vede la partecipazione di numerose organizzazioni ed Associazioni del territorio, tra cui Ecoinformazioni, Altreconomica, ma anche Fridays for Future Como, il Coordinamento Lecchese Rifiuti Zero e naturalmente Il Faggio sul Lago.

Roberto: Rossano, è possibile arrivare a rifiuti zero?

Rossano: Gli obiettivi rappresentano una sfida che parte dal riconoscimento del problema. La natura non produce rifiuti, sono le nostre mani a farlo quando mischiano le diverse frazioni. Se le nostre stesse mani non mischiano l’organico con il secco, abbiamo a disposizione preziosissime materie prime che l’Europa non può ricavare dai giacimenti. Si capisce subito come ecologia ed economia possano andare di pari passo.

La raccolta differenziata separa i flussi dei diversi materiali e in Italia non è complicata come in altre parti del mondo, poiché i contenitori solitamente sono solo cinque. Noi a Capannori abbiamo promosso le famiglie rifiuti zero, che hanno diritto a uno sconto del 60% sulla parte variabile della TARI. Dopo quattro anni, la produzione media di indifferenziato di questi 230 abitanti a rifiuti zero è di 3,9 kg pro capite. Alcune di queste famiglie hanno 4 figli e usano pannolini lavabili. Si può fare senza essere eroi.

Roberto: In questo periodo di pandemia si è assistito a un aumento della produzione di rifiuti per il cibo d’asporto e gli acquisti online?

Rossano: No, i numeri dicono tutt’altro. Anche se naturalmente è necessario smaltire un gran numero di mascherine, guanti e camici di protezione, queste frazioni rappresentano quantitativi relativamente ridotti. I dati del 2020 verranno resi pubblici da ISPRA nel dicembre 2021, ma i dati parziali ci parlano di una riduzione dei rifiuti a Torino del 4% e a Milano tra il 5 e il 10%. La chiusura delle attività produttive, dei bar e dei negozi ha fatto calare la produzione, che tornerà sicuramente a crescere per l’euforia delle riaperture. Noi abbiamo prodotto mascherine in collaborazione con l’Università di Bologna, che sono sicure al 99,8% e hanno una taschina in cui inserire il filtro prodotto da un’azienda del Sud Italia. In questo modo, è possibile cambiare soltanto il filtro e ridurre lo scarto del 97% rispetto alle mascherine tradizionali. Purtroppo, la risposta della politica è stata molto limitata e soltanto il Presidente dell’Emilia-Romagna ci ha aiutato a promuovere questo prodotto.

Roberto: Nel tuo libro parli di centri del riuso. La prevenzione del rifiuto passa anche da questi?

Rossano: Assolutamente sì. L’Unione Europea ha stabilito una strategia nella quale assoluta precedenza va alla riduzione del rifiuto e all’allungamento del ciclo di vita dei prodotti. Il riuso sottrae allo smaltimento il prodotto, ma purtroppo manca ancora una normativa per la preparazione al riutilizzo. Il Ministero dell’Ambiente ha calcolato che 80.000 addetti trovano lavoro in ambito di riparazione e riuso e, nel censimento nazionale dei centri di riparazione e riuso che stiamo portando avanti, abbiamo un dato parziale di 106 attività di questo tipo. Il riuso è già un’attività molto importante in Italia, anche senza alcun intervento pubblico. In Svezia, nel 2017, è stata promulgata una legge che incentiva con uno sconto dal 12,5% al 20% prodotti riparati. Il riuso è il quinto dei dieci passi rifiuti zero ed è forse tra i più importanti. A Capannori abbiamo iniziano con un centro di riuso per gli abiti, oggi ne abbiamo sei, creano un indotto di 120.000 € e danno lavoro a 10 persone, con laboratori di sartoria, falegnameria e persino una ciclofficina.

Oggi ci sono 320 Comuni italiani che hanno aderito alla strategia rifiuti zero, con 7 milioni di cittadini. Rifiuti zero è fashion, è figo; l’usato non è più sinonimo di povertà, ma sta tornando di moda. L’usato deve avere a che fare con la bellezza. Al momento ci sono purtroppo difficoltà dal punto di vista normativo per i centri del riuso, poiché se un bene varca il confine di un’isola ecologica diventa rifiuto e può essere maneggiato solo dagli addetti. Per questo è necessario che i centri stiano fuori dall’isola ecologica, in maniera tale che i beni possano essere riusati o riparati. Dobbiamo sempre ricordarci che per fare uno smartphone, ad esempio, servono 77 kg di materie prime, estratte nei Paesi poveri del mondo. In Unione Europea le terre rare non ci sono, ma sono fondamentali per la rivoluzione industriale 4.0: possiamo estrarle dai nostri rifiuti elettronici. Quella dell’usa e getta può essere definita civiltà? Sbagliare è umano, ma riconoscere l’errore è fondamentale per poter progredire. I Paesi in via di sviluppo stanno copiando il nostro modello usa e getta, dobbiamo cambiare percorso. Nel mio ultimo libro, “Il bivio”, spiego che non esiste un piano C. Il piano A è quello del “business-as-usual”, delle cose come stanno oggi, mentre il piano B è quello della rivoluzione ecologica.

Roberto: Nel tuo libro “Rifiuti zero” dedichi un capitolo intero al compostaggio, sottolineando come esso debba essere gestito il più vicino possibile a casa. Come sarebbe meglio gestire la frazione umida?

Rossano: La frazione organica è fondamentale, l’umido è prezioso per i cicli agronomici, soprattutto in Italia dove i terreni si stanno desertificando. Il carbonio nel terreno rischia, a causa di ciò, di liberarsi e finire in atmosfera come CO2: già oggi, il carbonio liberato dai terreni è la seconda fonte più importante di CO2 in tutto il mondo (dietro alla produzione di elettricità e calore, ndr). Dobbiamo fissare il carbonio nei terreni con la raccolta differenziata e piantando alberi, ridando fertilità ai suoli e limitando la desertificazione.

A livello industriale esistono due tipologie di impianti per la gestione del compostaggio. Esistono impianti aerobici, in eccesso di aria, che liberano un po’ di carbonio, ma producono ammendanti di altissima qualità; esistono poi impianti anaerobici, che producono biometano, ma anche un 20% di digestato. Questo non deve essere smaltito, secondo noi, ma va inviato a digestione aerobica, per produrre un ammendante di qualità lievemente inferiore, ma comunque ben utilizzabile nei campi. A Cremona ci sono 300 proposte di biodigestori per produrre biometano dal mais, ma questo andrebbe a sottrarre terreni alla produzione di cibo.

L’organico va separato anche per non pregiudicare il secco, che a San Francisco viene separato a posteriori negli impianti industriali, pur con costi più elevati. È importante anche piantare alberi per fermare la desertificazione e aumentare la biodiversità, riducendo al contempo l’inquinamento e la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera.

Roberto: Per tutelare la salute dei consumatori si usano imballaggi monouso, che poi vanno ad aumentare la produzione di rifiuti, il che sembra un paradosso. Recentemente, però, alcune ATS lombarde si sono pronunciate in favore dell’utilizzo della sporta al supermercato.

Rossano: In realtà, ci sono degli studi che dimostrano come nei Paesi più poveri ci sia un grande spreco di cibo a causa dell’assenza di imballaggi adeguati per allungare la vita dei prodotti. L’imballaggio non è solo negativo, però non deve coincidere soltanto con la plastica o con involucri misti difficilmente riciclabili, che finiscono nell’indifferenziato. Certamente sussistono problemi alimentari: deve essere garantita la freschezza e il passaggio di ossigeno, ma oggi siamo in grado di trovare delle alternative. Un’azienda di Brescia produce cellulosa trasparente, autocompostabile nella propria compostiera domestica o interamente riciclabile nella carta. Ferrero passerà interamente dalla plastica alla carta entro il 2025.

Per quanto riguarda la sporta al supermercato, bisogna adottare dei criteri per tutelare entrambe le parti. La plastica ha diverse applicazioni, è l’usa e getta che non ha senso. La plastic tax deve essere accompagnata da incentivi per la plastica riciclata, che è vantaggiosa economicamente ed ecologicamente. In Europa non abbiamo giacimenti naturali, la nostra miniera può essere il cassonetto. Vicino a me c’è la vetrina con i nostri 50 prodotti rifiuti zero, che presenteremo a Capannori sabato 15 maggio. I tempi della transizione ci saranno, ma non possiamo attendere la lentezza della politica.

Roberto: Abbiamo parlato molto di prodotti rifiuti zero. Ci puoi fare altri esempi di prodotti che possono evitare rifiuti?

Rossano: Ci sono cartiere che producono piatti e stoviglie in carta usa e getta, ma interamente compostabili a casa e ci sono molte altre soluzioni tecnologiche per sostituire imballaggi difficilmente riciclabili. Noi abbiamo più poteri di quanti ce ne attribuiamo, abbiamo scritto a diversi produttori e spesso veniamo ascoltati. A Capannori apriamo i sacchi dell’indifferenziato due volte al mese per studiare ciò che rimane indigerito da un sistema di gestione dei rifiuti che non passi dalla discarica o dall’incenerimento. Siamo in grado di risolvere i problemi, proponendo non solo famiglie rifiuti zero con stili rifiuti zero, ma anche politiche macroscopiche, che promuovano una vera rivoluzione ecologica con leggi e finanziamenti. In realtà, non c’è niente di rivoluzionario: la rivoluzione ecologica è un concetto moderato per chi intende attribuire al genere umano una felice prosecuzione. Noi raccontiamo una storia interessante, vincente, che è ascoltata in tutto il mondo.

Roberto: Qualche decennio fa ci si fermava a premiare il comune riciclone, ma la raccolta differenziata dovrebbe essere una filiera che conduca al recupero di materia e non al recupero energetico negli inceneritori. Cosa è necessario fare affinché questi flussi di materia vengano recuperati nel migliore dei modi?

Rossano: Quando abbiamo iniziato a Capannori nel 1995, ci davano tutti dei cretini, ora invece ci chiamano tutti. Tutti produciamo rifiuti, noi parliamo di economia domestica e per questo riusciamo a coinvolgere i cittadini. Se tutti si sentono parte del problema, tutti si possono sentire parte della soluzione al problema. Per fare la differenziata servono 6 minuti al giorno, sono 3 giorni l’anno e per questo bisogna che il Comune riconosca lo sgravio sulla tariffa. La nostra è una scienza bottom-up, che viene dal basso, è una citizen science, in cui i cittadini prendono parte attiva e sono entusiasti di farlo. Nel 2003, la raccolta differenziata in Italia era al 17%, nel 2019 era al 61,28%. La prima Regione italiana per raccolta differenziata è il Veneto, seguita dalla Sardegna, che differenzia il 73,3% dei rifiuti prodotti. La Sardegna ha superato persino la Lombardia, che si è fermata a causa dei troppi inceneritori; è l’unica Regione in cui ha vinto l’incenerimento, tanto che si bruciano rifiuti persino nei cementifici. La Lombardia aveva programmato un’exit strategy e invece fanno i revamping, che costano decine di milioni di euro. Ci vogliono le piattaforme di recupero per materiali cellulosici, plastici, metallici, ma anche per le terre rare, l’oro e l’argento. La guerra commerciale tra Cina e USA precedente alla pandemia era nata per le terre rare, detenute in massima parte dalla Cina. Estrarre dalla miniera urbana dei cassonetti è strategico, si tratta di materiali strategici, di importanza geopolitica.

Roberto: Abbiamo notato negli ultimi tempi un aumento del fenomeno dell’abbandono dei rifiuti. L’imprenditore può farlo per risparmiare, ma secondo te cosa spinge il cittadino ad abbandonare un rifiuto in un bosco o ai lati della strada?

Rossano: La ritengo una cosa fisiologica. A spanne, direi che c’è un 15% di popolazione molto disponibile; poi c’è una fascia intermedia e poi ci sono le ultime file, che abbandonano rifiuti. In termini di tonnellate di rifiuti abbandonati sono purtroppo tanti, ma queste persone non rappresentano più del 5% della popolazione. Per limitare questo fenomeno bisogna intervenire con incentivi, come la tariffazione puntuale, e disincentivi. In Provincia di Torino una volta al mese alcune organizzazioni di volontariato puliscono e fanno monitoraggio delle zone più critiche per quanto riguarda l’abbandono dei rifiuti. Non c’è una soluzione taumaturgica, ma si deve operare con interventi diversi, in cui la persuasione, la pazienza, la formazione e l’informazione rivestono un ruolo centrale.

Milano merita un applauso, hanno la raccolta dell’organico porta a porta più estesa al mondo, anche grazie all’amico Enzo Favoino. In Lombardia avete troppi inceneritori: dovete chiedere alla Regione di tornare sul percorso che aveva riconosciuto un eccesso di offerta impiantistica. Li possiamo chiudere tutti, ma dobbiamo risolvere allo stesso tempo il problema dei rifiuti. Una società migliore è più vicina di quanto sembri, anche se viviamo in tempi difficili. Possiamo fare la differenza, non siamo mai troppo piccoli per farla, come ci ha insegnato Greta.

Roberto: Una volta che abbiamo fatto la raccolta differenziata, cosa ne facciamo del resto? Come cittadini possiamo fare dell’altro per risolvere il problema?

Rossano: La strategia rifiuti zero è un gioco di squadra. Noi cittadini possiamo fare la differenziata, ma abbiamo tra le mani beni prodotti a monte. Il cittadino può scegliere di non comprare le vaschette bianche della carne, fatte di polistirene (PS) non riciclabile. Le bottiglie di plastica in PET sono riciclabili al 100% e si riciclano bene, ma è la plastica usa e getta che va abolita. A Lecco è necessario contrastare il progetto del teleriscaldamento, che è una grande fregatura atta a giustificare una spesa di 50 milioni di euro di soldi pubblici. Gli imprenditori dietro tutto questo non rischiano niente, non sono dei capitalisti, è industria sporca. Perché non si convoca almeno un referendum? I cittadini devono essere ascoltati. Parlando di Brescia, come ci immaginiamo la città nel 2040? Con il revamping dell’inceneritore, o libera e con più buone pratiche? Noi non vogliamo la chiusura delle multiutility, ma vogliamo che abbiamo il core business nel recupero di materia e non nello smaltimento. Noi ragioniamo per una graduale dismissione al 2030, Brescia e le altre città devono avere un futuro senza inceneritore.

La percentuale di rifiuto inviato a discarica sta calando enormemente: stiamo sconfiggendo sia le discariche che gli inceneritori, anche perché gli inceneritori producono delle ceneri del cui destino non sappiamo molto. La Danimarca brucia il 60% dei suoi rifiuti e non a caso i danesi producono 850 kg di rifiuti all’anno pro capite, mentre noi ne produciamo circa 500 kg. L’incenerimento vuole lo spreco, è una tecnologia old-fashioned, che non c’entra niente con la flessibilità. Dobbiamo evitare che gli inceneritori inibiscano lo sviluppo dell’economia circolare, fondata sul recupero di materia, come ha sottolineato anche l’Unione Europea. Noi non abbiamo alcuna ubriacatura ideologica, ma parliamo di dati e numeri.